
Retail will never die: 5 trend del dopo lockdown
Molti articoli hanno già affrontato in queste settimane le ricadute del coronavirus sul retail: si è parlato dell’ascesa dell’ecommerce, del servizio delivery e dei negozi di quartiere. Assisteremo a ricadute negative sul retail fisico, con numerose chiusure e tagli di personale, ma di certo non alla sua fine: esperienza, relazione, competenza e immediatezza rimarranno prerogative del negozio e andranno a complementare l’ecommerce. Certo, cambierà il ruolo del retail e il suo modo di proporsi: si assisterà all’integrazione tra online e offline, che già da tempo era in atto e che è stata accelerata dalla pandemia.
Ma nello specifico come cambierà il modo di fare retail a partire dalla fase 2?
Ho voluto fornire cinque dinamiche con cui gli attori del retail probabilmente si confronteranno e integrarle con considerazioni.
1) Una vendita orientata alla relazione
Il bisogno di sicurezza non potrà annullare del tutto il bisogno di relazione dell’essere umano: il negozio rafforzerà la propria identità di luogo di relazione. I commessi dovranno passare a uno stile di vendita improntato alla relazione, con attenzione alla comunicazione non verbale e paraverbale, dal momento che il sorriso sarà coperto dalla mascherina. Sguardo, postura, gesti e voce dovranno trasmettere accoglienza e positività ma allo stesso tempo rassicurare e generare fiducia. Il personale di vendita dovrò quindi essere educato su come muoversi in modo equilibrato tra il bisogno di sicurezza e quello di relazione, rendendo la shopping experience protetta e piacevole insieme: se un eccesso di preoccupazione farà allarmare il cliente, una vicinanza troppo amichevole lo metterà sulla difensiva.
2) Consulenza a distanza
Oltre alla componente relazionale, anche quella legata alla consulenza spingerà il consumatore a scegliere lo store fisico. O ad optare per una customer journey ibrida, a metà strada tra negozio ed ecommerce, in un’ottica omnicanale: la consulenza col venditore di fiducia potrà verificarsi anche a distanza tramite le videochiamate ed eventualmente tramutarsi in vendita, garantendo al negozio la possibilità di fatturare anche a distanza; oppure il commesso potrà aiutare il cliente durante la navigazione e l’acquisto sul sito, creando una sorta di “social ecommerce“.
In Cina l’azienda cosmetica Lin Qingxuan, costretta a chiudere quasi la metà dei negozi, ha trasformato un centinaio di commesse in influencer sui social e sull’ecommerce, registrando a Wuhan un +200% di vendite sull’anno precedente. Anche il mondo del lusso sta testando come adattarsi al nuovo contesto: i grandi magazzini inglesi Harrods, attualmente chiusi, lanceranno a breve il servizio di personal shopping da remoto: alcuni addetti vendita prenderanno gli ordini direttamente dal negozio, attraverso telefono e smartphone.
Insomma, online e tecnologia saranno strumenti del venditore e non più competitor.
3) Co-marketing tra negozi
La riscoperta delle botteghe, di cui avevo già parlato in un mio post, potrà sfociare in collaborazioni tra i negozi locali che si aiuteranno l’un l’altro nel generare traffico. Per creare strategie win-win, l’unione dovrà avvenire tra realtà dello stesso territorio e con una clientela simile. Un esempio di partnerhsip tra attività complementari è il negozio di abbigliamento che espone gioielli di un artigiano locale e, a fronte di un acquisto, offre un buono sconto presso quella bottega.
4) Trasformare le code in opportunità
Uno degli ostacoli a riportare i consumatori in negozio sono le lunghe file fuori dai negozi, siccome lo stress da attesa rischia di rovinare la shopping experience. L’accoglienza al cliente inizierà quindi prima dell’ingresso in negozio con forme di intrattenimento per trasformare un tempo snervante in utile e piacevole, per iniziare a creare la relazione. Se offrire bevande o finger food non sarà più possibile, si potrà invece fornire informazioni sui tempi di accesso e sulle regole all’interno del negozio, si potrà consegnare flyer con info su collezione e promozioni.
La vetrina, visto il ridotto numero di passanti, perderà il ruolo di attrazione per intrattenere e rassicurare il cliente durante l’attesa, ad esempio comunicando l’impegno sociale del brand, la sua vicinanza al consumatore, gli standard igienici e di sicurezza applicati.
5) Negozi-showroom
I negozi potranno accogliere un numero massimo di persone e chi vi entrerà sarà mosso da una reale necessità di acquisto. Ad esempio il tasso medio di conversione degli store Unieuro (quelli rimasti aperti durante il lockdown) era attorno al 30% prima della pandemia e ora supera il 60%. Entrare per “dare un’occhiata” sarà una pratica molto meno diffusa: al suo posto si sfoglieranno i cataloghi online o si contatterà prima il venditore. Per il cliente l’esperienza d’acquisto diventerà simile a quella del lusso estremo: si recherà in negozio su appuntamento, il rapporto col venditore sarà one-to-one e all’interno di uno spazio riservato, per provare un prodotto dovrà chiedere, il numero di capi esposti sarà inferiore.
I negozi Elena Mirò ad esempio saranno suddivisi in micro-negozi. Se per visionare l’intera collezione si doveva effettuare un giro completo dello store, ora ogni spazio sarà un piccolo showroom: conterrà gli stessi capi, i quali saranno esposti in maniera visibile. Per ridurre spostamenti e assembramenti ogni micro-negozio sarà dotato di camerino e potrà ospitare solo un cliente e un commesso.
Certo, l’assenza dell’ingresso libero e del libero servizio, l’impossibilità di farsi accompagnare da qualcuno e l’esposizione ridotta ridurranno gli acquisti di impulso. Anche in questo caso però, saranno la competenza, lo storytelling e le capacità relazionali del venditore a fare la differenza.
Un grazie a Marco Boem e Francesco De Gregorio di Now! Retail Specialist per gli interessanti spunti del webinar “Reagire e ripartire, le sfide del retail fisico”.

